NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Siamo creature che sin dalla notte dei tempi s’inventano e fruiscono storie e situazioni MACHECAZZ di fantasia, che puntualmente finiscono per rispecchiare il MACHECAZZ che ci circonda nella vita reale. La faccia di chiülo del nostro subconscio collettivo non conosce limiti.
LE UNICHE VACCHE COINVOLTE NEL PROCESSO DI LAVORAZIONE
Non per fare la disfattista, ma penso converrete con me quando dico che siamo rimasti invischiati in un’estenuante gara di gavettoni con gli ultimi venti mesi, e tutti i palloncini sono stati gonfiati a diarrea.
Tuttavia, anche prima che l’intero pianeta venisse travolto da un insolito destino, sembrava chiaro che non stessimo navigando in acque quiete: dall’emergenza ecologica, alle diseguaglianze sociali, fino al piccolo dettaglio che per quattro anni l’imprenditore di The Apprentice ha avuto in mano i codici di 6,800 testate nucleari, i valori sulla scala del MACHECAZZ erano gia’ piuttosto alti.
Tuttavia, nonostante la propensione del genere Horror a fare autopsie al suddetto MACHECAZZ con occhio clinico e zelo sistematico, il cinema DEPAURA dello scorso decennio e’ stato dominato da produzioni di alto valore estetico congiunto a una clamorosa micragna di contenuti, e non faccio mistero che tale realizzazione sia stata accolta da parte mia con un qual certo dignitoso stupore (visualizzate l’espressione trasecolata che hanno i gatti quando osservano gli umani che cagano).
Il fenomeno si e’ diffuso a tal punto da spingere gli esperti nel settore a coniare un nuovo termine per definire questo sotto-genere: Elevated Horror (giusto per sincerarsi di non confonderlo con il resto dell’Horror)(che e’ plebeo assai e parla coi rutti).
Sara’ che ho una certa affinita’ elettiva coi rutti, specialmente dopo il mio cordialino serale al fior di sambuco, acqua tonica e gin zozzone, ma a casa mia l’Horror “Elevato” e’ stato battezzato da subito HORROR MARGARINO™, poiche’ (perdonatemi l’auto-citazione): “Le premesse ti fanno illudere sia burro, ma le uniche vacche coinvolte nel processo di lavorazione sono le mamme di chi gira questi rigozzi”.

Ci sono buone probabilita’ che anche i meno ferrati in materia abbiano sentito parlare di questi film. Titoli come “A Girl Walks Home Alone at Night” (2014), “The VVitch: A New-England Folktale” (2015), “Mother!” (2017), “Hereditary” (2018), hanno creato abbastanza scarmazzo da finire nel radar del mainstream, pur tenendo alto il vessillo del cinema indipendente e d’autore (o almeno, tenendone alte le velleita’).
E se e’ pur vero che l’Horror Margarino tende ad essere un grande polarizzatore tra il pubblico, la stragrande maggioranza della critica, cosi’ come una buona fetta dei cinefili *ahem* seri, si e’ saldamente schierata dalla sua parte.
Per spiegare lo stupefacente fenomeno, piu’ delle lodi sperticate piovute da fonti giornalistiche di pregio, e’ il contributo di ccamp89 (un umile utente di IMDB) a venirci in aiuto con la sua recensione di “Hereditary”, titolata: “Showcases what Horror is capable of when taken seriously”.
Ho stampato una foto di Ari Aster solo per tirarci le freccette sopra, quindi va da se’ che io non condivida granche’ le idee di ccamp89 nei riguardi il film, ma e’ indubbio che non prendere l’Horror sul serio sia la prassi.
Sia per la critica, che lo giudica una forma di cinema dozzinale; sia per parecchie delle produzioni, che lo vedono come fonte inesauribile di soldi facili e/o la palestra perfetta per farsi un nome. Per essere uno dei generi piu’ prolifici in assoluto nell’industria cinematografica, pochissimi tra coloro che fanno film Horror vogliono effettivamente fare film Horror. E lo sa Pazuzu quanti troiai immondi vengono scodellati ogni anno proprio per questo.

In rarissime occasioni, tuttavia, quando i piani astrali si allineano, e Saturno entra in trigono con il Budello di tu Ma’ vestito da Ozzy Osbourne, spunta un autore che vuole fare film Horror di proposito. Qualcuno che rispetta il genere, ne conosce il potenziale, ed e’ genuinamente interessato ad arricchirlo.
In una dimensione parallela ideale dove Hereditary e’ solo un sito che colleziona DNA con la scusa degli alberi genealogici, questo sarebbe l’esempio perfetto di un Horror che merita di essere preso sul serio da chi lo recensisce, poiche’ e’ stato preso sul serio da chi lo ha prodotto.
Ma nel sozzo piano esistenziale che ci appartiene, la critica (e un certo tipo di audience) e’ poco propensa a perdonare la lettera scarlatta dell’intrattenimento al cinema di genere, e in particolar modo all’Horror.
Se non altro, non finche’ la metamorfosi nobilitativa da pantegana di fiume ad “Elevated” abbia fatto il suo corso.
A questo punto potreste chiedervi come funziona questa magicabula.
(Ve lo state chiedendo?)
(Potreste)
A dire il vero e’ un processo molto semplice:
1. Il film di genere aspetta pazientemente che siano passati una decina d’anni.
2. Il film non e’ di genere. Ma ruba a scopo mimetico gli elementi piu’ iconici dai film che lo sono.
Quest’ultima e’ la tattica dell’Horror Margarino, a.k.a. il trionfo del c’hai creduto faccia di velluto.

UN’INCORONAZIONE A SCOPPIO RITARDATO
Questo feroce bias da parte della critica ha radici profonde troppo complesse per essere discusse solo en passant, dunque perdonatemi se in questo frangente giochero’ la carta del C’HO IL SUGO SUL FUOCO™.
Tuttavia, fidatevi quando vi dico che tale preconcetto e’ stato osservato in natura con una certa frequenza ed e’ ben lungi dal rischiare l’estinzione.
L’aspetto gramo e’ che oltre a scatenare i CHITTEMU degli amanti di un certo tipo di cinema (e fin qui…), questa abitudine finisce per penalizzare la critica con una miopia professionale che di fatto le impedisce di riconoscere la rilevanza di un film di genere in tempo reale.
L’elevazione di un Horror allo status di Capolavoro, o di Cult Movie, e’ sempre un’incoronazione a scoppio ritardato, la fine benedetta di un’anticamera – a volte lunga decenni – in cui i nomi bistrattati della Settima Arte vengono finalmente considerati “illustri”.
Hitchcock si e’ dovuto sedere in quella sala d’attesa, cosi’ come Kubrick, Polanski, Carpenter, Scott, De Palma, Spielberg.
Ma quel che passa tra una stroncatura e una consacrazione non e’ solo questione di senno del poi.
Quando nel 1974 usci’ “The Texas Chain Saw Massacre” di Tobe Hooper, buona parte della critica (almeno quella che si degno’ di cagarlo di striscio) si compatto’ verso un vistoso MA ANCHE NO, nonostante la presenza di alcune voci fuori dal coro piuttosto autorevoli. Ad ogni modo, il film venne percepito all’unanimita’ come estremamente controverso.
Ventisei anni dopo, grazie anche alla diretta connessione tra il film e l’omonimo libro di Ellis, per il debutto di “American Psycho” di Mary Harron il MA ANCHE NO della critica tuono’ ancora prima che la pellicola arrivasse nei cinema.
I toni persero un poco della virulenza iniziale in seguito alla visione, e alla realizzazione che l’American di celluloide fosse tutto sommato meno Psycho di quello cartaceo, ma si trattava comunque di un prodotto troppo scalmanato da sfuggire al mistico status di “estremamente controverso”.
Tuttavia, neppure i detrattori poterono esimersi dal lodare una delle scene piu’ emblematiche dell’intero film: quel gran manzo gallese di Christian Bale che fa gli addominali in mutande davanti a un televisore acceso sul finale di “The Texas Chain Saw Massacre”.
Alla critica non sfuggi’ il simbolismo di uno psicopatico edonista che usa uno dei film piu’ MACHECAZZ della storia come sottofondo per far ginnastica. Ne’ l’impietoso parallelo tra la vacuita’ e l’assuefazione all’orrore di Patrick Bateman e quella della societa’ capitalista 2.0 del nuovo millennio.

La dolce ironia dell’intera questione risiedeva nel fatto che per quanto riguardava “The Texas Chain Saw Massacre”, gia’ all’epoca la critica stessa si trovava ad avere un bel po’ di “assuefazione” da dichiarare alla dogana: il lento ma inesorabile ingranaggio della nobilitazione si era messo in moto da una quindicina d’anni, e nel 2000 nessun critico degno del suo tesserino del cinema si sarebbe sognato di parlare del film in termini che non fossero celebratori.
Che non e’ esattamente come farcisi gli addominali in mutande davanti, ma siamo li’.
Quel che era successo, e’ che nell’arco di tempo tra l’uscita dei due film gli elementi piu’ innovativi di “The Texas Chain Saw Massacre” erano diventati oggetto di interesse, e poi di studio, e in seguito di replicazione. Un’intera generazione di cineasti era cresciuta all’ombra dell’orrorifica catapecchia di Leatherface, e il film forniva gia’ tutti gli ingredienti necessari per ricreare il beverone esplosivo, bastava solo dare una shakeratina e servire.
Cosa che naturalmente e’ accaduta: il film aveva creato dal nulla il sottogenere Slasher, diventando un capostipite.
Come si era gia’ discusso nel caso di “The Shining” (SPAM sin verguenza), anche chi non ha mai visto “The Texas Chain Saw Massacre” in realta’ l’ha visto in una (o mille) delle innumerevoli pellicole che l’hanno saccheggiato. Alcuni di questi film sono giustamente diventati Cult a loro volta, tanti altri appartengono alle cinquanta sfumature di grigio del guano, ma mettendo da parte il livello qualitativo di questi titoli, il punto e’ che qualsiasi riproduzione sistematica porta inevitabilmente all’usura: le innovazioni diventano prassi, la prassi diventa cliche’.
Nonostante sia vicino al compiere mezzo secolo, “The Texas Chain Saw Massacre” continua imperturbato a far cagare addosso legioni di spettatori, e non mi stupirebbe se continuasse a farlo per i prossimi cinquant’anni, perche’ insomma…un tizio con una maschera di pelle umana essicata che ti insegue con una motosega non perdera’ mai il suo je ne sais quoi.
Ma la scintilla sovversiva che portava con se’ nel giorno del suo debutto e’ andata smorzandosi per ogni remake non ufficiale che e’ stato dato in pasto al pubblico.
Nel momento in cui la rivoluzione e’ finita, e gli elementi disturbanti sono diventati iconici e sono stati assorbiti collettivamente, la critica ha riconosciuto “The Texas Chain Saw Massacre” per il capolavoro che e’ sempre stato.
Nulla come il tempo riesce ad addolcire i contorni, a curare i cuori infranti, e a quanto pare a far digerire a un branco di elitisti culturali le propensioni culinarie di una famigliuola di hillbillys texani.

Ma per fortuna nostra, e sfortuna sua, nelle sue incarnazioni migliori il cinema di genere non puo’ permettersi il lusso del tradizionalismo: per risultare efficace deve tenere la cazzimma di Speranza che starnazza Chiavt a Mammt, deve poter spostare i paletti di quello che e’ considerato accettabile. E se alla fine della visione lo spettatore accusa un leggero PTSD vuol dire che ha fatto il suo porco lavoro.
Piu’ dell’onta dell’intrattenimento, piu’ della famigerate accuse di superficialita’ nella sostanza, e di cafonaggine nella forma, e’ il fattore Ka-BLAM! presente nel cinema di genere a rappresentare la vera pietra dello scandalo. Ed e’ proprio la mancanza di elementi riconoscibili e rassicuranti che scatena il riflesso incondizionato dell’arricciamento nasale negli esperti del settore, e che – ahime’ – fa di loro gli iridati campionissimi nel curioso sport dello stracciarsi le vesti per poi riattopparsele frettolosamente a tempo scaduto.
Ora, vi ricorderete che tipo sette milioni di anni fa vi dicevo che la critica ama l’HORROR MARGARINO™.
(Se non ve lo ricordavate non vi biasimo)(ve lo ricordo io)(sto qui apposta).
Mi sa che e’ in arrivo sul binario due (piu’ due fa quattro) il Freccia Rossa MOSOCAZZI di mezzanotte.

LUNEDI’ PROSSIMO: Zio Nicola alla Prima Comunione della piccirilla, il Mojito della Bodeguita del Medio, e bong retrattili preveggenti. FEAR AND LOATHING IN 2021 – PARTE III